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per i diritti delle donne, non per la parità delle poltrone

Otto marzo per i diritti delle donne. Non certo per la parità delle poltrone

Pur di conquistarsi uno spazio in più, le donne di molti partiti chiedono il 50% delle poltrone. Certo magari lo spazio manca loro per via delle discriminazioni, ma così facendo chiedono di superare alcuni degli effetti delle discriminazioni per sè, ma non per tutte le altre che stanno nella società e nelle sue varie espressioni, compresa la famiglia, che troppo spesso è ancora squilibrata da rapporti di potere ingiusti.

La questione è che la presenza delle donne, che sono circa la metà nella società, se non ci fossero discriminazioni sarebbe più o meno in pari numero nelle varie espressioni sociali, compresi i posti direttivi e le più alte cariche. Ma se io metto il 50% di donne, cioè quello che sarebbe il risultato se non ci fosse la discriminazione, nel parlamento, la società resta quello che è, cioè molto indietro dal punto di vista delle donne. Insomma queste donne in cerca di poltrone in questo modo sganciano il loro futuro dal nostro: noi a vivere con le impari possibilità e loro a godere di diritti strappati solo per sé. Lasciamo poi da parte che è stato il tanto vituperato femminismo a sbloccare la situazione negli anni settanta anche per molte donne che sono in partiti (o eredi di partiti) che all’epoca pensavano che le donne dovessero strare a casa a fare le mamme e a pulire la casa e basta (DC e destre varie) o che il femminismo avanzasse rivendicazioni borghesi (PCI).

Solo cambiando la società a favore di tutte, dandoci, prendendoci e riconoscendoci spazio, si può risolvere la questione, non sciogliendola artificialmente solo per alcune privilegiate.

Inoltre la valorizzazione della differenza non è ammettere il ruolo preponderante delle donne nella riproduzione, (come fanno quelli che credono di essere attenti ai diritti delle donne limitandosi a riconoscere il ruolo riproduttivo, come ha sempre fatto il patriarcato nelle sue varie espressioni, fascismo compreso) ma al contrario è riconoscere il valore delle donne al di là della riproduzione e al di là dei ruoli imposti, in direzione di una libertà e di una autodeterminazione che è esattamente quella che manca.

Insomma i diritti delle donne possono essere messi in atto solo se si va oltre, e la logica delle poltrone e dei privilegi viene superata.

Luisa Muraro, filosofa della differenza, scrive:

“C’è un di più femminile e questo di più, che non si confonde con il materno, come fu nel patriarcato, è, forse, la principale lezione filosofica e politica del femminismo, guadagnata su campi di battaglia, alcuni dei quali non sono noti” (Luisa Muraro, Al mercato della felicità, pag.95)

“Si tratta di rovesciare i paradigmi che hanno sempre falsato l’asimmetria fra i sessi, di uscire dal gioco degli specchi e rendere praticabile il rapporto con l’altro. E’ la posta in gioco del femminismo dei nostri tempi. Altrimenti, aver tirato fuori la differenza sessuale sarebbe davvero un arcaismo inutile. La significazione della differenza sessuale non può andare senza trasgressione, senza sovversione dell’esistente. Non può essere ricalcata pari pari sull’ordine simbolico ricevuto”. 

“Pensate a tutta la giustizia che viene negata per rispettare la legge, a tutta la libertà  che l’ordine sociale rende impraticabile, a tutte le conoscenze perdute a causa delle scienze, a tutta le bellezza che i canoni estetici ci rendono invisibile, a tutto l’amore pervertito dalla legge morale, a tutti i piaceri che la tecnica ci fa perdere. La mente può restare schiacciata dallo spettacolo della giustizia iniqua, della crudeltà della morale, dell’autoritarismo delle scienze, e disperarsi. Ma può invece rivolgersi, come insegnava Platone, al vero, al bello, all’amore, alla libertà , alla gioia, con la certezza che da qualche parte questo mancante si trovi” (p.137)

Marvi Maggio X COBAS Regione Toscana

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